Umberto Galimberti: passi scelti da « Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica »

Proponiamo la lettura di questi brevi passi scelti del filosofo italiano che si interroga sulla differente concezione del fare tecnico e del suo rapporto alla Natura nella Grecia antica e nella visione della Modernità di cui siamo eredi.

Sulla tecnica come ambiente dell’umano contemporaneo e sull’impossibilità di pensare separatamente l’individuo e la tecnica:

« La tecnica non è neutra, perché crea un mondo con determinate caratteristiche che non possiamo evitare di abitare e, abitando, contrarre abitudini che ci trasformano ineluttabilmente. Non siamo infatti esseri immacolati ed estranei, gente che talvolta si serve della tecnica e talvolta ne prescinde. Per il fatto che abitiamo un mondo in ogni sua parte tecnicamente organizzato, la tecnica non è più oggetto di una nostra scelta, ma è il nostro ambiente, dove fini e mezzi, scopi e ideazioni, condotte, azioni e passioni, persino sogni e desideri sono tecnicamente articolati e hanno bisogno della tecnica per esprimersi. Per questo abitiamo la tecnica irrimediabilmente e senza scelta. Questo è il nostro destino di occidentali avanzati, e coloro che, pur abitandolo, pensano ancora di rintracciare un’essenza dell’uomo al di là del condizionamento tecnico, come capita di sentire, sono semplicemente degli inconsapevoli che vivono la mitologia dell’uomo libero per tutte le scelte, che non esiste se non nei deliri di onnipotenza di quanti continuano a vedere l’uomo al di là delle condizioni reali e concrete della sua esistenza. »

U.Galimberti, « Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica« , Feltrinelli, pag.34

Sul cambiamento della visione della Natura e del fare tecnico: dalla visione greca all’ontologia e la scienza della Modernità:

« L’agire (praxis) e il fare (téchne) acquistano rilevanza e guadagnano la loro differenza nella riflessione greca sull’uomo, a cui si riconosce una capacità di contemplazione (theoria), ma anche di produzione (poiesis). Quest’ultima può essere produzione di cose secondo le regole della tecnica, o produzione di atti secondo le regole dell’etica. Ma sia la tecnica sia l’etica avevano nella natura (physis) il loro paradigma e, nel paradigma, il loro limite. [..] le due forme di produzione (poiesis), ossia l’agire (praxis) e il fare (téchne), avevano la loro misura nella natura (physis) che, pensata come indomabile da parte dell’uomo, era per ciò stesso assunta come limite e norma delle sue azioni e delle sue tecniche. Non essendo piegabile agli scopi che l’uomo si proponeva, era l’uomo a doversi piegare alla natura, e fare della contemplazione (theoria) del suo ordine lo scopo della propria vita »

« Con la nascita della scienza moderna la prospettiva degli antichi si capovolge perché, tradotta la natura in un laboratorio dove l’uomo sperimenta le sue intenzioni, l’agire intellettuale (theoria) non è più il fine a cui il fare produttivo (poiesis) resta subordinato, ma il principio che sprigiona il fare produttivo da cui il retto agire non può prescindere. Quest’omologazione dell’agire sul fare, e quindi dell’etica sulla tecnica, è stata preparata dalla teologia medioevale che, sostituendo alla visione greca della natura come cosmo inoltrepassabile, la visione biblica della natura come mondo che Dio ha dato all’uomo per il suo dominio, ha posto le premesse perché l’uomo scorgesse nel fare tecnico la realizzazione del compito assegnatoli da Dio e quindi la norma del suo agire etico. [..] Da allora in poi “buone” saranno tutte quelle azioni che affrancano l’uomo dalla sua impotenza nei confronti della natura. E siccome questo riscatto è reso possibile dalla tecnica, l’agire etico si appiattisce sul fare tecnico [..] soprattutto perché, creando un mondo sempre meno naturale e sempre più artificiale, la tecnica obbliga l’etica a inseguire il paesaggio che la tecnica produce e non cessa di trasformare, senza che l’etica possa disporre di altro referente (cosmologico, teologico, antropologico, ideologico) che non sia la continua produzione tecnica. »

Op. cit., pag. 458-460.